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martedì 22 novembre 2016

Open space: prima e dopo un figlio

C'è stato un periodo in cui l'open space andava molto di moda.
Non so se sia ancora così, poichè per fortuna da tre anni a questa parte abbiamo smesso di visitare appartamenti.
In ogni caso, non lo avrei più preso in considerazione.

Perchè?
Perchè ci vivo.
Con un figlio.

In origine erano cucina, corridoio, camera da letto e salottino, senza porte, aperti.
La scelta nasceva dalla volontà di mantenere il bell'impatto estetico del tetto in legno (eh sì, open space in mansarda!), non sacrificare spazi già ridotti con l'ingombro dei muri e, in ultimo ma non per importanza, non litigare con i padroni di casa, restii al cambiamento.
Poi si è aggiunto un salotto/ingresso, per fortuna separato dal resto della casa da una porta.
Ovviamente a vetri. Non vorrai mica che si faccia un passo avanti decisivo, vero?!?

Comunque noi eravamo in due e ci stavamo bene.

 Poi è arrivato il ricciolino e ciò che sembra un vantaggio, è diventato un difetto!




ANTE FIGLIO
- Nessun tipo di isolamento acustico. 
Chiaccherate mentre uno cucinava e l'altro riordinava, dialoghi mai interrotti, la sensazione di sentirsi ed essere vicini sempre, anche mentre uno leggeva e l'altro si guardava un film.
Romantico e rassicurante.

- Nessun tipo di isolamento visivo.
Sembrava di respirare, l'aria, la luce e noi circolavamo liberamente.
Sempre a portata di vista, sempre insieme.
Romantico ed accogliente, come un nido.

- Nessuna barriera, a parte la porta del bagno.
Il profumo della moka, l'odore invitante della pasta alla carbonara sul fuoco, il sentore di cavolo bollito ecc. ecc. fungevano da richiamo a tavola, senza tanti drammi.
L'unico problema si creava quando era necessario, per qualche motivo, isolare la gatta (perchè bagnata, perchè malata, perchè ancora non usava la lettiera ecc.): eravamo costretti a confinarla in bagno, con l'ovvia conseguenza dei suoi miagoli disperati!
Quasi sempre romantico.

POST FIGLIO
- Nessun tipo di isolamento acustico. 
Se uno dei due o il pargolo vuole/deve dormire, non ci si può fare una doccia, accendere la tv o ascoltare musica. 
Inutile svegliarsi prima per riordinare, impensabile fare le pulizie di casa di sera. 
Per far dormire il bambino, bisogna stare fermi, immobili, possibilmente al buio.
Se la sveglia per uno di noi suona prestissimo (e con l'Alpmarito è uno strazio settimanale), anche l'altro è buttato giù dal letto dai rumori della vestizione e degli spostamenti in casa. Non resta che pregare che il piccolo della famiglia sia ancora in fase rem, altrimenti son dolori.
Impossibile non sentire i risvegli o la tosse del pupo.
Impossibile non sentire i movimenti della gatta, la lavastoviglie, la lavatrice, il traffico della statale che scorre sotto di noi, la pioggia che batte sul terro.
Perchè, nel nostro caso, ci sono ben due aggravantI: il pavimento in legno e, trattandosi di mansarda, i lucernari.
Il pavimento non lo cambierei (a parte in cucina, da cui sarà per sempre bandito), però è indubbio che scricchioli ad ogni passo. Quanto ai lucernari, sono una delle cause dei miei episodi di insonnia, tra luce e pioggia.
Un incubo.

- Nessun tipo di isolamento visivo
Gli ospiti vedono tutto, ma proprio tutto.
Se c'è un ospite ed  il bambino deve dormire, magari perchè malaticcio o perchè si è fatto troppo tardi, è durissima farlo addormentare.
Non puoi nascondere disordine o stendini in una camera, chiudendoti la porta alle spalle.
Non puoi ignorare il disordine che solo un figlio sa creare. Ti tocca riordinare.
Per non parlare dei giochi sparsi in tutta la casa, perchè il povero bambino in fondo non ha una cameretta tutta sua dove giocare, ma solo qualche metro quadro, prima adibito a salottino, ora sufficiente appena per letto, armadio e comodino. 
Vi lascio immaginare le difficoltà a lasciarsi andare a momenti di tenerezza coniugale, quando il pargolo è in casa (che dorma o meno, sembra sentire e vedere tutto).
Nessuna privacy, nessun romanticismo, addio ordine.

- Nessuna barriera, a parte la porta del bagno.
Il bagno è diventato il nostro rifugio, fino a quando il ricciolino non è riuscito a restarci chiuso dentro, da solo.
Giochi, odori e bambino circolano impunemente e liberamente per tutta la casa.
E pure il gatto.
Nessun luogo è più sicuro, figuriamoci romantico.

Quindi, mi smentisca pure qualcunque lettrice/lettore o architetto, ma se state pensando ad un open space e avete dei figli o pensate di averne in futuro, ripensateci. 
Davvero, ripensateci.

E voi, cosa ne pensate? Ci siete passati e condividete oppure no?




venerdì 14 marzo 2014

Open

"Open" di Andre Agassi, ed. Stile Libero Extra Einaudi, 20 Euro.
493 pagine sottili non proprio da leggere tutte d'un fiato, soprattutto se si conosce poco il tennis e le sue regole (io ho giocato da ragazzina con qualche corsetto, nulla di più).
Eppure vale la pena prendersi tempo per leggerlo, davvero.
Io ho trovato il libro in biblioteca ma so già che lo comprerò e lo regalerò presto, perché credo sia una di quelle biografie che vale la pena avere su propri scaffali e rileggere.
L'amicizia con Barbra Streisand, il matrimonio con Brooke Shields e poi la scoperta dell'amore vero, quello della vita, con Stefanie Graf (un'altra delle più grandi tenniste di tutti i tempi), gli amici, il college para militare, i coach, il preparatore atletico, l'amicizia, l'infanzia a Las Vegas in mezzo al deserto, il rapporto con i fratelli, le grandi cadute e le fantastiche ascese, l'impegno umanitario, la scoperta dell'importanza dell'istruzione, l'incontro con Mandela, l' amore per i figli sopra a tutto.
Nella vita di Agassi non è mancato nulla e nulla manca nel libro.
Agassi Inizia a giocare per compiacere il padre, un padre autoritario che vuole il meglio per il figlio, che cerca un riscatto e pensa di poter far raggiungere il successo a suo figlio tramite il tennis, un padre che in fondo ama suo figlio ma a modo suo, tanto da comprare una casa in mezzo al deserto solo perché ha un cortile abbastanza grande per edificare un campo da tennis, che costruisce una macchina diabolica, che Andre soprannomina "drago sputa palle", dinnanzi al quale lo costringe tutti i giorni a estenuanti allenamenti;
continua perché e' l'unico cosa che crede di saper fare, per sopravvivere alla solitudine e alla scuola;
continua perché pensa di non avere alternativa.
E poi continua perché decide di sceglierlo.
"Forse sono confusi perché non ho raccontato loro la storia per intero, non gli ho spiegato del tutto cos'è che mi spinge. Non posso perché sto prendendo coscienza io stesso solo a poco a poco delle mie motivazioni.Gioco e continuo a giocare perché ho scelto di farlo. Anche se non è la tua vita ideale puoi sempre sceglierla. Quale che sia la tua vita, sceglierla cambia tutto."
Un campione che si racconta senza veli nella sua ricerca della perfezione, di se stesso, della serenità.
"Penso a una cosa che Mandela ha detto una volta in un'intervista: Dovunque tu sia arrivato nella vita, c'è altra strada da percorrere. E penso ad una delle citazioni preferite di Mandela, dalla poesia Invictus, che gli ha dato forza nei momenti in cui pensava che la sua strada fosse stata interrotta: Io sono il padrone del mio destino: io sono il capitano della mia anima".
Un campione che odia il tennis ma forse alla fine lo ama anche o, più semplicemente, ne è dipendente, perché volente o nolente e' parte di lui.
"Non strafare, dice. Non cercare di essere perfetto. Sii te stesso.Penso di sapere come seguire quel consiglio su un campo da tennis, ma con una donna sono perso.Andre, dice, certe persone sono termometri, altri termostati.Tu sei un termostato. Non registri la temperatura in una stanza, la cambi. Perciò sii fiducioso, sii te stesso, assumi il controllo. Mostrale chi sei veramente."
"Anche diversi giornalisti sportivi riflettono sulla mia trasformazione e quella parola mi amareggia. Penso che non colpisca nel segno. La trasformazione e' un cambiamento da una cosa in un'altra, ma io quando ho cominciato non ero niente. Nonno mi sono trasformato, mi sono formato. Quando ho cominciato a giocare a tennis ero come la maggioranza dei ragazzini: non sapevo chi ero e mi ribellavo al fatto che fossero i grandi a dirmelo. Penso che i grandi facciano sempre questo errore con i giovani, trattandoli come prodotti finiti quando in realtà sono in fieri. E' come giudicare un match prima che si sia concluso e io ho recuperato troppo spesso e ho subito troppe furiose rimonte per pensare che sia una buona idea.
Consigliato, consigliato e ancora consigliato.
Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Home Made Mamma che ringrazio perché è solo grazie alla sua recensione di qualche mese fa (http://www.homemademamma.com/?s=Open) che ho scoperto questo libro.



venerdì 10 febbraio 2017

Le letture di Mamma Avvocato: "Il bar delle grandi speranze"

Ho saltato gli ultimi appuntamenti con il venerdi' del libro, una volta perchè le condizioni fisiche mie e del ricciolino non lasciavano tempo per null'altro che la pura sopravvivenza, un'altra per impegni lavorativi...pero' non ho smesso di leggere.
Anzi, ho letto "bene".

L'ultimo romanzo finito, infatti, si inserisce perfettamente nella scia di belle letture con cui ho terminato il 2016 ed iniziato il 2017. Di che si tratta?

"Il bar delle grandi speranze" di J.R. Moehringer

ed. Picwick, 2014, euro 10,90, pag. 486




La vita, dall'infanzia all'età adulta, di un ragazzo povero, figlio unico di madre single, alla periferia di New York.
Un vero e proprio "romanzo di formazione americano", anche se non on the road, bensi' in gran parte ambientato in un pub. 
Sî', perchè Manhasset è il paese dell'alcol, tutti ne consumano in grande quantità e la chiesa e il bar "Publicans" costituiscono i due poli della vita sociale del luogo, l'uno posto all'inizio, l'altro alla fine della stessa via principale.
Nel ba, J.R. (il cui nome ha tutta una storia che fa parte del romanzo) cerca quegli esempi maschili che gli mancano a casa, quella dei nonni, dove vive a periodi alterni, insieme alla madre, alla zia, alle numerose cugine, allo zio ed ai nonni stessi.
Nel bar lavora lo zio. Nel bar gli uomini di Manhasset trovano una famiglia, consolazione, aiuto, solidarietà, divertimento, risate, compagnia, modelli, discorsi.

Il bar sarà la costante della vita di J.R., da bambino il cui padre ha preso il volo senza mai contribuire al suo mantenimento, ad adolescente timido, a studente dotato ma insicuro di Yale, fino a quando, fattorino al New York Times, si rifugerà ogni sera nel bar in cerca di forza e speranza ma anche per annegare la sua frustazione.

E sarà il bar, o meglio la sua chiusura, in un certo senso, a salvarlo.

Intorno a J.R. ruotano personaggi maschili indimenticabili, dal proprietario del Pubblicans, Steve, allo zio Charlie, al resto del personale e degli avventori abituali, ciascuno con il suo carattere e le sue storie, ciascuno portavoce di un pezzetto di società, ideaologia e cultura diverse che insieme si completano, perchè: 

"...La gente non capisce quanti uomini ci vogliono per fare un brav'uomo. La prossima volta che vai a Manhattan e vedi uno di quegli imponenti grattacieli in costruzione, fa' attenzione a quanti uomini sono impegnati in quell'impresa. Per costruire un uomo solido, ci vogliono tanti uomini quanti ne servono per costruire una torre."  (pag. 264)

Solo alla fine, dopo gli studi, le delusioni sentimentali e professionali, la disperata ricerca di un rapporto con il padre e, soprattutto, le grandi disillusioni che accompagnano, purtroppo, il raggiungimento della "maturità", J.R. capirà che il suo modello "maschile" lo aveva sempre avuto accanto: sua madre.

Una madre che lo protegge, cresce, indirizza e conforta con una strordinaria forza d'animo, come solo una madre sa fare. L'immagine stessa della solidità e della determinazione che J.R. cercava negli uomini.

"Era una divina bugiarda, una geniale bugiarda e stava mentendo anche a se stessa, cosa che mi fece apparire le sue bugie in una luce completamente nuova. Capii che dobbiamo mentire a noi stessi di tanto in tanto, dirci che siamo forti e capaci, che la vita è bella e il duro lavoro avrà la sua ricompensa, e poi provare a trasformare le nostre bugie in realtà. Questio è il nostro compito, la nostra salvezza, e questo legame tra mentire e procaee ero uno dei tanti doni che mi aveva fatto mia madre, la verità che era sempre esistita dietro le sue bugie.....Ero sempre stato convinto che essere un uomo significasse saper tenere duro, ma questa era una cosa che mia madre aveva fatto meglio di chiunque altro. E tuttavia, aveva anche capito quand'era il momento di mollare...."  (pag. 457).

Un romanzo che  mi è piaciuto e mi ha colpito molto, ben scritto, scorrevole e mai noioso, ricco di riferimenti letterari e di discorsi, monologhi e dialoghi forse un po' improbabili per un pub ma certamente appassionanti ed intelligenti.



Ecco il mio consiglio di lettura per questo venerdi del libro!

L'autore è stato scelto da Andre Agassi per aiutarlo a scrivere la sua autobiografia, "Open". 
In effetti, evidentemente non a caso, avevo apprezzato moltissimo anche "Open" (di cui avevo parlato qui).
 

giovedì 19 settembre 2013

Capricciosa routine

Casa tra le montagne.
Ore 06.00: suona la sveglia dell'Alpmarito, che si alza, si veste e scappa via.
Ore 06.30/06.45, dipende dai giorni: suona la mia sveglia.
Mi alzo, faccio i miei addominali, scaldo il mio bicchiere d'acqua e metto su la caffettiera, già pronta dalla mattina prima.
Faccende di casa varie.
Ore 07.00/07.15: si sveglia il nano.
Io: "Nano, buongiorno!!Hai dormito bene?"
Nano: "No!!"
Io: "Su dai, nano, vieni a fare colazione con la mamma?"
Nano: "NO!!NO VOIO!"
Io: "Beh, io inizio a bere il caffè, quando vuoi vieni eh?"
Nano: "NO!"
MI dirigo in zona cucina (chiamarla stanza è troppo, visto il nostro quasi open space).
Dopo un pò, arriva stropicciandosi gli occhietti.
Io: "Eccoti! Allora, vuoi fare colazione?"
Nano: "NO!!!"
Io:"Preferisci i biscotti, il muffin, il pane al cioccolato o i wafer?"
Nano: "No voio niente"
Io:"Un pò d'acqua, almeno?" (Con il latte ho rinunciato da tempo).
Nano: "NO!!!"
Immancabilmente, mentre io finisco caffè e biscotti, lui decide di sedersi e sbaffarsi un muffin/biscotto/panino (purchè sia l'unica cosa che NON ho messo in tavola).
Io:"Mentre tu mangi vado a vestirmi, nano, ok?"
Nano: "NO!"
Vado comunque e intanto sono le 7.30/7.45 e sono già in ritardo.
Io: "Hai finito? Dobbiamo vestirci e lavarci i dentini"
Nano: "No finito io"
Dopo un pò, tra una faccenda e l'altra: "Su nano, andiamo a vestirci e lavarci"
Nano: "IO NO VOIO"
Io: "Mettiamo questa maglietta e questi pantaloni?"
Nano: "No, io non piace"
Io: "Vuoi scegliere tu, allora?"
Nano: "NO!!"
E via così, fino a che, sfinita, non fingo di andarmene uscendo in balcone e chiudendo la porta.
Pianti disperati e finalmente, se va bene alle 7.45, se va male alle 8.00, è vestito.
Restando scarpe e giacca, infine fatti indossare a forza, dopo altri svariati NO!

Ora mi chiedo: dove c...o sbaglio???!!
Va bene affermare la propria identità però così mi pare un pò troppo, o no???

martedì 5 settembre 2017

Questa casa

Questa casa

Stiamo per salutare questa casa e, pur essendo felice del cambiamento, in questo ultimi giorni mi ha preso un po’ di nostalgia.




Perché questa casa,
quando ancora era solo un letto, un tavolo ed una libreria,
ci ha visti diventare “noi”.

In questa casa,
mentre eravamo ancora in due,
ho preparato la mia tesi,
e l’esame di stato.

In questa casa,
quando ancora era “un’open space”,
abbiamo accolto parenti e amici,
letto, brindato, riso, giocato e pianificato,
semplici gite e viaggi a lungo desiderati,

In questa casa,
che abbiamo liberato,
pulito, pavimentato e tinteggiato con le nostre mani,
abbiamo sognato 
il nostro futuro.

Questa casa,
dalla posizione infelice
ma dalla vista splendida,
ha assistito al mio diventare mamma,
allargandosi e mutando per accogliere un bambino.

In questa casa,
ho portato la mia gatta,
salvandola,
e l’ho vista diventare mamma.

Ero in questa casa,
quando ho temuto,
per due terribili,
infinite ore di incertezza,
per mio marito
e qui l’ho vegliato
in una notte d’ansia,
ringraziando che la montagna non se lo fosse portato via.

Questa casa 
che è stato il teatro di feste,
anniversari, amore,
amicizie,
ma anche di litigi,
telefonate attese e mai giunte,
delusioni e rabbia,
è stata il mio rifugio,
in tempi di malattie, lutti e notizie di separazioni,
e l’eco della mia gioia,
ad annunci di nuove vite e nuove coppie.

In questa casa,
ho curato, cantato, ninnato, ballato e giocato
con e senza mio figlio,
ma anche fotografato,
dipinto, cucinato, praticato yoga,
ricamato, dormito, vegliato, montato mobili e spento candeline.

Questa casa,
mi ha visto provare il mio abito di nozze,
preparare e disfare valigie,
uscire in due e tornare in tre,
uscire in tre e tornare in cinque,
piangere, di gioia e di dolore,
sorridere e gioire.

Questa casa, 
dove ho trascorso parte della mia vita adulta,
in fondo,
so già che un po' mi mancherà.

Perché questa casa,
come tutte le case vissute,
è più di quattro mura e un tetto,
più di un semplice contenitore di oggetti,

è un contenitore di umanità.

venerdì 4 ottobre 2013

A che gioco giochiamo?

Questa settimana avrei voluto scrivere del saggio di Loredana Lipperini, Di mamme c'è n'è più d'una, che ho letteralmente divorato, ma non ci sono riuscita.
Troppe impressioni e riflessioni che hanno bisogno di sedimentare e pochissimo tempo a disposizione in questi giorni impegnativi, sotto molti punti di vista.
Quindi, vi parlo del romanzo che ho letto tra la Lipperini ed un'altra saggio (ancora sul mio comodino).

"A che gioco giochiamo?"  di Madeleine Wickham, alias Sophie Kinsella




 Dalla Kinsella ti aspetti un libro leggero, ben scritto ma di evasione ed era per questo che lo aveva scelto tra due letture più impegnative.
E invece questo breve romanzo (250 pagine circa) mi ha stupito.
Si ritrovano i personaggi, femminili ma anche maschili, per una volta, dalla personalità esagerata e un po' irreale che, secondo me, caratterizzano tutti i libri dell'autrice ma, come ne La regina della casa, colei che più sembra frivola e volgare alla fine dimostra una personalità sfaccettata e non priva di senso morale.
Perché il romanzo e' tutto incentrato sugli inganni dell'apparenza, sull'invidia sociale, sulla percezione che i personaggi hanno della loro vita e del loro status e come, invece, li vedono amici e familiari.
Ed alla fine, vince l'amore sincero, la vita familiare e professionale non perfetta (e quale e' davvero tale?) che però si regge su sentimenti autentici, al di la' della grandezza della casa, del numero di
camere degli ospiti, delle marche occhieggianti dai guardaroba, dei modelli di auto e della forma fisica.
I protagonisti, tre coppie di coniugi "amici", più una coppia formata da padre e figlia, si incontrano per un weekend di tennis nella casa di Patrik e Caroline.
Tra recite organizzate dai figli, partite a tennis, aperitivi e barbecue, ospiti e padroni di casa parlano e si fanno battute, non sempre felici di essere insieme.
Ed alla fine gli equilibri si rompono e ciascuno si svela per ciò che è, inaspettatamente, scoprendo che l'apparenza, certe volte, inganna e l'erba del vicino e' sempre più bella, ma solo fino a che non ti ci sei seduto sopra.

Un libro non impegnativo ma ben riuscito, scritto bene, non eccellente ma neppure banale. Non correrei a comprarlo in libreria ma, se ne avete l'opportunità, leggetelo e riflettete.
Ne uscirete un po' più contente della vostra vita e dei vostri amici!
Questo post partecipa all'iniziativa del Venerdì del libro di HomeMadeMamma
(http://www.homemademamma.com/2013/10/04/venerdi-del-libro-open/ che ringrazio una volta di più per questa bellissima idea.